Non solo professionisti e grandi conoscitori del nettare dionisiaco, ma promotori di innovazioni e scopritori di potenziale, grazie a competenze tecnico-scientifiche ma anche ad un istinto naturale, spesso forgiato a diretto contatto con la vigna.
In questo articolo ti parleremo di cinque tra gli enologi che hanno tracciato un percorso indelebile nella storia dei vini di pregio e di quali sono stati i vini che li hanno resi famosi.
Vedremo inoltre quali sono alcuni tra i migliori enologi contemporanei del panorama italiano.
Michel Rolland
Oltre 150 aziende con cui collabora in 13 Paesi del mondo: Michel Rolland è riconosciuto come uno degli enologi più influenti a livello internazionale. I suoi vini possiedono un carattere fortemente riconoscibile: da una parte questo è molto apprezzato dai critici più famosi, tra i quali spicca il fondatore di Wine Advocate, Robert Parker, che ha assegnato a diverse bottiglie da lui prodotte il punteggio massimo di 100/100. Dall’altra, questo ha portato ad una percezione di “standardizzazione” dei vini di Rolland, più volte criticato poiché vini frutto di vitigni e aree vinicole molto differenti tra loro, finivano con il non lasciare emergere le caratteristiche specifiche di vini tanto distanti.
Negli anni Settanta Rolland ha fondato il Laboratoire d’enologie a Pomerol: grazie a strumenti analitici innovativi e ad un efficace team di esperti tecnici è diventato nel tempo un punto di riferimento per oltre 80 aziende vitivinicole sparse in tutto il mondo.
La filosofia di Rolland si distingue per un approccio personale, che non di rado lo ha portato ad essere oggetto di polemiche. Parlando di sé, afferma: “Ignoro cosa sia uno ‘stile’, mi piacerebbe trovare una definizione. Per tutta la vita ho cercato di fare un vino che piacesse ai consumatori e i miei 48 anni da enologo mi hanno regalato soddisfazioni”.
Maestro del taglio bordolese, Michel Rolland, con la sua moderna idea di vinificazione, ha contribuito a portare alla ribalta mondiale alcuni vini di Bordeaux e, ha poi influenzato il modo di fare vino ovunque, dalla California all’Argentina, al Cile, senza dimenticare l’Italia.
Recentemente l’enologo ha ceduto la maggioranza delle azioni del suo laboratoire a tre suoi collaboratori, passando così il testimone alla nuova generazione.
Giacomo Tachis
E’ considerato il padre del Rinascimento enologico italiano: andando contro le convenzioni, Giacomo Tachis ha influenzato in maniera determinante il corso della produzione vitivinicola nazionale.
Ha lavorato come enologo per grandissime cantine tra cui Antinori, Tenuta San Guido e San Leonardo: la sua impresa più memorabile è aver dato vita ai Super Tuscan. Tachis ha fatto il suo ingresso nel mondo vitivinicolo toscano in pompa magna, negli anni ‘60, iniziando a lavorare con Tenute Antinori.
In quel periodo la viticoltura toscana stava attraversando un momento particolare: erano stati impiantati nuovi vigneti in tutta la Regione, con non pochi errori. La qualità era bassa, così come i prezzi, di conseguenza l'immagine del vino toscano ne soffriva.
In tale contesto, Giacomo Tachis si affermò come l'uomo del cambiamento. Iniziò a frequentare Bordeaux e l'enologo Émile Peynaud, portando poi in Italia un nuovo modo di fare vino, grazie all’introduzione, tra le altre cose, dell'invecchiamento in barrique. Fu così che nel 1970 nacque il Tignanello (nella sua versione definitiva prodotto con Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc.)
Sull'onda di questo successo, nel '78 fu la volta del Solaia: un’annata particolarmente abbondante di Cabernet, dalla qualità eccezionale, porto Tachis a sperimentare un nuovo vino. Altra intuizione vincente, fu consacrata con il premio di “Miglior vino dell'anno” della prestigiosa classifica di Wine Spectator: la prima volta per un italiano.
In parallelo alla sua esperienza con Antinori, negli anni ‘70 Giacomo Tachis collaborò anche con Tenuta San Guido a Bolgheri, del Marchese Incisa della Rocchetta. Un incontro che consacrò il successo di Sassicaia, vino commercializzato per la prima volta con la vendemmia 1968.
Il lancio ne decretò il successo immediato, ma l'accoglienza migliore si ebbe come sempre in Inghilterra. Nel 1978, durante una degustazione di grandi vini a Londra organizzata da Hugh Johnson, Sassicaia risultò il migliore, sorprendendo tutti: gli italiani non avevano mai superato i francesi. Successivamente Robert Parker diede 100 punti all'annata '85 e definì il Sassicaia “il migliore vino del secolo”.
Sassicaia è stato il vino che ha fatto nascere e decollare i Super Tuscan, il primo e unico ad avere una DOC proprietaria (dopo essere stato vino da tavola, Igt e poi una sottozona della Doc Bolgheri.
Oltre ai famosi vini di sua creazione, Tachis collaborò con diverse aziende in tutto lo stivale per la produzione di vini bianchi e rossi, da Nord a Sud.
Paul Hobbes
Definito lo “Steve Jobs del vino”, con il suo fiuto Paul Hobbs ha saputo affermarsi quale precursore delle future tendenze enologiche.
Tra i suoi traguardi, l’essere stato nominato per ben due volte “personalità dell’anno” dal critico americano Robert Parker, che ne ha celebrato il Cabernet Sauvignon Beckstoffer To Kalon Vineyard 2002 con il punteggio massimo di 100/100 (Per scoprire come funziona il sistema dei punteggi leggi l'articolo qui).
Il progetto di vita di Hobbs in origine prevedeva una laurea in medicina, ma suo padre lo convinse ad andare alla UC Davis, prestigiosa facoltà di enologia della Napa Valley, per un anno. Ha poi lasciato la UC Davis e si è unito alla Robert Mondavi Winery.
Nel 1979, Robert Mondavi andò da Paul Hobbs e gli raccontò della sua conversazione con il barone Philippe de Rothschild dello Château Mouton Rothschild sull'avvio di una joint venture, che sarebbe diventata Opus One. Essendo un giovane assistente enologo, l'opportunità era irresistibile e lavorare con il team francese, che aveva un approccio diverso al vino, ha contribuito a plasmare le sue idee.
Successivamente, un primo viaggio in Argentina nel 1988 segnò l'inizio di quella che oggi è diventata una carriera enologica di grande importanza. Fu infatti durante la sua permanenza a Mendoza, che l'enologo americano avviò il progetto di creare una tenuta vinicola in un territorio situato ad alta quota, Luján de Cuyo, un terroir eccezionale ai piedi delle Ande esteso tra i 600 e i 1.000 metri sopra il livello del mare: nel 1998 nasce così Vina Cobos.
Oggi Hobbs è enologo per sette aziende vinicole in tutto il mondo, dalla California all’Argentina, fino a regioni vinicole in Francia e Spagna.
Émile Peynaud
Riconosciuto come il padre dell’enologia moderna, Émile Peynaud è riuscito nell’impresa di dare una connotazione moderna al Bordeaux e a migliorare la qualità dei vini di tutto il mondo.
Peynaud iniziò il suo viaggio nel mondo del vino lavorando presso la Maison Calvet in Bordeaux alla tenera età di 15 anni: collaborò sotto la guida del chimico e "padre della scienza del vino" Jean Ribérau-Gayon (1930-2011) ai metodi analitici per determinare la qualità del vino acquistato. A 20 anni pubblicò il suo primo articolo sulla “Revue de Viticulture” e nel 1946 presentò la sua tesi sull'Enologia. Lavorò a lungo presso il dipartimento di ricerche enologiche dell'Università di Bordeaux, dove ebbe numerosi allievi tra cui Giacomo Tachis.
La selezione di sole uve sane e soprattutto fisiologicamente mature era una preoccupazione importante per Peynaud, che cercava in particolare di dare ai vini di Bordeaux più equilibrio e longevità, controllando le temperature di fermentazione e invecchiando i vini in barrique di rovere da rinnovare frequentemente.
Questo nuovo approccio ha portato alla produzione di vini “più puliti”. Inoltre ha anche aiutato a comprendere e successivamente controllare le trasformazioni derivanti dalla fermentazione malolattica.
Ha esortato i viticoltori a selezionare solo le uve migliori per i loro vini, un concetto difficile da accettare per molti in un'epoca in cui la quantità era spesso più importante della qualità. Suggeriva inoltre agli Châteaux di far confluire le uve che non soddisfacevano lo standard del grand vin, in vini meno ambiziosi da vendere a prezzi inferiori.
Scomparso all’età di 92 anni, è stato un interprete schietto e visionario dell’enologia contemporanea, capace di sviluppare un nuovo pensiero condiviso, anche attraverso concetti semplici ma lapidari. Come lui stesso amava dire: “Ognuno ha il vino che si merita”.
Denis Dubordieu
Nato nel 1949 a Barsac, Dubourdieu si è guadagnato il soprannome di "Professore di Bordeaux" per la sua brillante carriera accademica.
Durante gli anni di insegnamento, ha fatto da mentore a innumerevoli enologi che ora lavorano in tutto il mondo. Come viticoltore, ha contribuito a diffondere una migliore qualità e nuove tecniche enologiche, oltre ad aver riportato l’attenzione sui vini bianchi di Bordeaux.
Dubourdieu nacque in una famiglia di viticoltori: suo nonno Georges acquistò Château Doisy-Daëne , situato a Barsac, nel 1924, e Denis crebbe nella tenuta, imparando da suo padre, Pierre. Dopo aver studiato agronomia a Montpellier, Denis conseguì un master in enologia presso l'Università di Bordeaux.
L'influente ricerca dell’enologo sulla vinificazione e l'invecchiamento del vino bianco ha contribuito a rivoluzionare il modo in cui viene prodotto oggi il Bordeaux bianco, trasformando lo stile generale della regione da vini spenti, morbidi e leggermente ossidati a uno stile fresco e vivace con mineralità che è ormai la norma.
Dubourdieu ha iniziato a lavorare come consulente enologico nel 1987. Fu nel 1998 che Dubourdieu iniziò a dedicarsi anche ai vini rossi, quando gli venne richiesta una consulenza per Château Haut-Bailly. In totale, ha svolto il ruolo di consulente per più di 80 tenute a Bordeaux, tra cui Cheval-Blanc, Yquem e Margaux.
Dubourdieu fu anche un vigneron di successo a Doisy-Daëne, considerato tra i produttori d'élite di Barsac e del vicino Sauternes. Il suo approccio al vino era quasi filosofico, ben espresso da alcune affermazioni che continuano ad echeggiare nel mondo dell’enologia mondiale:
“Il vino è un po’ come il corpo umano. Se lo conservi bene, se lo curi, se lo sai mantenere, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, i risultati si vedranno anche col passare del tempo. E l’invecchiamento, sarà un valore aggiunto, un arricchimento, l’obiettivo raggiunto di un duro lavoro, fatto di tanti pezzi di un puzzle che messi insieme compongono e definiscono un’immagine perfetta”.
Dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 2016, la sua eredità accademica continua ad essere una pietra miliare dell’enologia contemporanea
Alcuni grandi enologi italiani
L’enologia contemporanea annovera tra i suoi protagonisti anche diversi nomi italiani. Tra i più influenti troviamo:
Carlo Ferrini
Da oltre 30 anni lavora con le principali aziende vitivinicole in tutta Italia, dal Trentino fino alla Sicilia. Nel 1992 Ferrini comincia la sua carriera di consulente e nel 2000 viene eletto “enologo dell’anno” da il Gambero Rosso e da Slow Food. Nel 2003 riceve il medesimo riconoscimento dalla Associazione Italiana dei Sommelier (AIS). Oggi è consulente enologo per le più importanti aziende italiane. Nel 2008 Wine Enthusiast lo ha eletto “Best Winemaker of the year”.
E’ riuscito nell’impresa di dare un’interpretazione personale al Brunello. Il suo sogno era avere una vigna tutta sua e fondare la propria etichetta. Un sogno che realizza nel 2011, quando inizia l’avventura della tenuta di Giodo, a Montalcino, a partire da quel Sangiovese di cui è grande estimatore e con il quale produce il suo Brunello.
Attilio Pagli:
inizia il suo percorso enologico nel 1983, sotto la guida di Giulio Gambelli, uno dei più grandi conoscitori delle uve e del territorio toscano. Dal 1997 è consulente per il Gruppo Matura, un luogo di formazione e condivisione da cui sono passati e dove sono cresciuti tanti validi enologi.
Pagli ha mostrato fin dall’inizio della sua attività un interesse particolare per i vitigni autoctoni. Ha sempre creduto in una viticoltura legata alla tradizione e alla storia di un territorio, all’indissolubile legame tra terra e lavoro dell’uomo. Ha lavorato per esaltare le differenze e per portare in primo piano le caratteristiche peculiari di ogni singolo terroir.
Roberto Cipresso
inizia la propria carriera di winemaker nel 1987 a Montalcino, dove si stabilisce e lavora per alcuni dei più noti produttori, come Case Basse, Poggio Antico, Ciacci Piccolomini d’Aragona.
Dopo i primi successi personali, la sua attività si estende anche ad altre zone della Toscana, e ad aziende collocate nelle più importanti regioni italiane. Nel 1999 fonda Winemaking, il suo gruppo di consulenza agronomica ed enologica. E’ creatore e guida del progetto Winecircus, cantina-laboratorio dedicata allo svolgimento di attività di ricerca orientate ai diversi aspetti della vitivinicoltura.
Nell’aprile 2010 riceve l’incarico da “Città del Vino” per la produzione del vino speciale in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Nel 2013 inizia la produzione del suo primo Brunello di Montalcino.
Dante Scaglione
Lavora con grandi nomi delle Langhe ed è un punto di riferimento per le nuove generazioni di enologi. La sua attenzione si concentra sul cambiamento climatico e su come questo influisce sulle gradazioni più alte e le acidità più basse. Profondo conoscitore del Nebbiolo, Scaglione si è diplomato all’enologica di Alba nel 1979, per poi iniziare il primo lavoro, nello studio enologico di Giuliano Noè a Nizza Monferrato. Incontra così Bruno Giacosa, il mitico produttore langarolo per il quale ha lavorato come consulente per oltre 17 anni e con la cui cantina è tornato a lavorare in anni recenti. Nel 2008 è stato insignito del premio Veronelli come miglior enologo italiano.
Conclusione
In questo articolo abbiamo parlato di 5 tra gli enologi che hanno tracciato un percorso indelebile nella storia del vino e delle cantine che li hanno resi famosi.
Abbiamo poi fatto un rapido excursus tra i nomi più influenti del panorama italiano.
Storie di uomini e di vini, che hanno dato vita a bottiglie protagoniste dei mercati internazionali.
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